Avrei preso volentieri Sciuscià contro l’Uomo Lupo (diamine,
con un titolo del genere!) ma il rigattiere dove mi rifornisco occasionalmente
di vecchi giornaletti ne aveva solo una copia in condizioni prossime
all’implosione, quindi ho preferito ripiegare su altre due antichità.
Numero Bis 20 strilla in copertina che contiene due storie complete.
Più che altro, ristampa due numeri delle serie Sciuscià e Nat del Santa Cruz,
ma gli episodi non sono certo “completi” facendo parte di archi narrativi già
avviati e che immagino si sarebbero conclusi solo dopo parecchio tempo.
La prima storia vede addirittura
12 pagine (sulle 16 complessive) di flashback
del coprotagonista Pantera, e solo alla fine viene impostato lo sviluppo della
trama. In breve, gli eroi dovranno salvare il titolare Sciuscià, che non appare
nemmeno di sfuggita, dalle grinfie della tribù degli Wahalla-Jango.
Le scene di lotta tra Pantera e il
selvaggio sono avvincenti e si risolvono con una trovata intelligente e
verosimile, ma la storia è praticamente incomprensibile senza averne letto le
parti precedenti.
Anche Nat del Santa Cruz comincia desolatamente in media res e ci catapulta nella scena in cui gli avversari del
protagonista si sono già impossessati del tesoro che ha rinvenuto e sono
partiti alla volta di Algeri. Qui, almeno, la storia si sviluppa in maniera più
articolata e appagante per il lettore occasionale, con scazzottate, inseguimenti
e colpi di scena, ma i dialoghi fanno intuire una trama piuttosto complessa di
cui il lettore è all’oscuro. E ovviamente finisce con un cliffhanger.
Di entrambe le serie viene
ristampato il capitolo XXVIII, il che mi fa pensare che i primi numeri di
questa collana avessero una foliazione più generosa, essendo questo il numero
20, o forse avranno saltato qualche episodio per strada.
Come ogni cultore di fumetto
italiano dovrebbe sapere, entrambe le serie sono graficamente opera di
Ferdinando Tacconi mentre apprendo dalla vituperata Grande Enciclopedia dei Fumetti della DeAgostini che Sciuscià venne scritto da Tristano
Torelli (anche editore) e Nat del Santa
Cruz da Giangiacomo Dalmasso. Nonostante il tratto di Tacconi non si
presenti proprio uniforme nei due episodi (ma chissà quanti anni saranno
passati tra la realizzazione di uno e dell’altro), la qualità è costante e
molto elevata, ancora legata al naturalismo di quegli anni e per nulla presaga
del tratto nervoso che nei decenni successivi caratterizzerà Tacconi.
A cornice della parte a fumetti (letteralmente:
viene proposto in seconda e terza di copertina) c’è un capitolo del romanzo Orso Sanguinoso, anche questo facente
parte di un’opera più vasta e quindi incomprensibile a se stante, tanto più che
contempla solo un lungo dialogo.
Serie Bis 20 è una ristampa datata 9 marzo 1954 di due strisce
rimontate in formato quadrato. Lo stato di conservazione non è per nulla
ottimale (la carta patinata serve anche a rendere un prodotto editoriale meno
suscettibile a rovinarsi con l’umidità, ma per quegli anni era impensabile
usarla sui “giornalini”) e insieme alla frammentarietà delle storie mi rallegra
al pensiero che ci ho speso solo 5 euro. Molto meglio mi è andata con l’altro
acquisto.
Kolosso e la “Grosse Berta” (numero 83 della collana) è
un’avventura scatenata e divertente. Per introdurre l’atmosfera folle e scanzonata
del fumetto penso sia sufficiente riportare il riassunto delle puntate
precedenti: «Kolosso è stato inviato attraverso la macchina del tempo nel mezzo
della Seconda Guerra Mondiale col compito di registrare il comportamento del
“virus bellico” o “bacillo della guerra”. Dopo aver partecipato alla campagna
di Polonia, l’allegro gigante si reca a Berlino dove raggiunge il comando
supremo, e viene riconosciuto come un campione della razza ariana. Imbarcatosi
per un giro di propaganda col ministro Goebbels, se ne sbarazza, e
s’impadronisce dell’aereo».
In questo episodio il
protagonista, fuggendo quindi sull’aereo sottratto a Goebbels in persona,
individua il super-cannone che sta devastando Parigi e riesce fortuitamente a
raggiungere la Resistenza francese a cui, dopo alcuni equivoci e altrettante
scazzottate, si unirà per distruggere la “Grosse Bertha”. Ce la farà, non senza
difficoltà, ma il fumetto si conclude comunque con un cliffhanger.
Kolosso è quindi un fumetto avventuroso che non si prende troppo
sul serio, ma quello che mi ha colpito di più è l’umorismo metanarrativo che mai
mi sarei aspettato in un prodotto del 1965. Ad esempio a pagina 5 una nota
traduce quello che dice un soldato tedesco, ovvero «Mamma!» e specifica che
anche i nemici hanno una mamma! Più in generale, c’è un lavoro parodistico sulle
convenzioni del genere bellico/avventuroso e mi ha colpito molto la scelta di
far parlare i partigiani francesi con degli intercalari riportati foneticamente
(come probabilmente sarebbe stato fatto in altri fumetti coevi) mentre nelle
note vengono presentate le dizioni corrette e la loro traduzione.
Sembra quasi che Kolosso sia un fumetto scritto oggi per
prendere in giro bonariamente il genere dell’epoca. Tanto più che il protagonista
occasionalmente uccide i nemici, per quanto costretto dalle circostanze e
giustificandosi sempre nei dialoghi.
I disegni (sempre grazie alla Grande Enciclopedia dei Fumetti apprendo
che Kolosso era realizzato
principalmente da Mario Faustinelli e Antonio Canale) sono anch’essi
incredibilmente moderni: le pennellate grasse e sinuose, perfette per rendere
l’espressività della storia, ricordano a tratti Bernet o Massimo Carnevale.
Nello stesso protagonista sembra di vedere un Pietro Battaglia ante litteram, ma penso che sia solo un
caso. Queste caratteristiche del tratto lo rendono meno efficace quando si
tratta di rappresentare macchinari o dettagli tecnici, ma per 30 tavole
settimanali mi pare che il disegnatore abbia fatto un ottimo lavoro.
L’albetto, datato 27 ottobre 1965,
ha un formato leggermente più piccolo di un pocket (11,5x16,5 centimetri circa)
e sempre dall’enciclopedia della DeAgostini apprendo che la serie fu il parto
di una cooperativa di autori, “Gli Amici”, che quindi avrebbero anticipato pure
le autoproduzioni. In origine era spillato ma l’evidente intervento con colla e
garza di uno dei precedenti proprietari lo ha trasformato in un brossurato
artigianale. Oltre alle 30 pagine di fumetto ci sono ancora due pagine che
riprendono le interpretazioni dei lettori, proposte già in seconda di copertina
(lì, però, con la pellicola di stampa invertita!). In quarta di copertina ci
sono quattro figurine di Kolosso, tra cui il «Falsmaresciallo» e Kolosso che
gioca a «Mockey».
Nonostante la qualità di
conservazione sia dignitosa ma ben lungi dall’essere perfetta, questi sono
stati proprio 5 euro spesi bene.
recensione di Luca Lorenzon
Fa piacere che il blog offra ancora qualche segno di vita...
RispondiEliminaUn po' meno sapere di queste pubblicazioni con storie senza capa né coda. Era un classico di quegli anni, lo so, e tutt'ora qualche fumetto adotta ancora questo modo di proporre le storie, ma io un albo del genere lo pagherei con un pezzo di banconota invece che con una intera: frammento per frammento... 😉
Lessi per la prima volta di Kolosso negli anni settanta in un Manuale del Fumetto che i miei genitori mi regalarono per Natale. Un volumetto con la cover gialla e che conteneva una serie di grossolane inesattezze - io ero un bimbo che divorava super-eroi Corno e Cenisio - persino ai miei occhietti, ma quel tizio mi parve simpatico già in quella sintesi. Ho letto da qualche altra parte che uno degli Amici era Alfredo Castelli. Mi è passato per le mani anche il volume antologico delle Edizioni If di qualche anno fa, ma non ricordo le storie. Concordo con quanto scrivi e credo che quel mood fosse un segnale e tentativo di reagire alla saturazione e noia del pubblico italiano del tempo per i monolitici personaggi del tempo. Una alternativa a Diabolik ( 1962 ) ed al fattore kappa che cominciava a dilagare.
RispondiEliminaFatte le debite proporzioni, è quanto è accaduto dopo la rivoluzione del Dark Knight di Miller e dei Watchmen di Moore che ha provocato sia la deriva grim & gritty sia le sit com di carta come la She-Hulk di Byrne, la JLA di DeMatteis/Giffen/Maguire e lo Excalibur di Claremont/Davis. Anche in questo caso, la prima opzione -in qualche modo un fraintendimento di quanto volevano dire gli autori della British Invasion e americani "eversori" - ha trionfato e azzerato la seconda di cui abbiamo avuto in prima istanza circa un lustro di storie.
Viva Kolosso !
Di Kolosso ho una storia anche io, più la ristampa delle prime storie edita dalle Edizioni IF anni fa: guarda caso, serie fermata al n.1 come "Jonny Logan Collection", guarda caso, sempre il fumetto umoristico finisce male. La serie di Kolosso fu un tentativo molto spiritoso di parodiare il classico fumetto di avventura, tentativo oscurato da uno successivo di alcuni anni dopo e molto più famoso ...
RispondiEliminaDa lettore che non conosce il fumetto vintage, rimango affascianato. E' un vinta "so bad its so good" :D
RispondiEliminaKolosso è un Grande ! :-D
RispondiElimina...meriterebbe una ristampa, o almeno un bel volume ! :-<
....e pure Sciuscià, toh ! :-D
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