06/03/15

Zio Paperone e il clavicembalo scrivano (Barosso-Scarpa) 1962****


Divertentissima storia che ho letto ieri sera, mi sa per la prima volta visto che sghignazzavo nonostante il sonno. L’avventura è di Abramo e Giampaolo Barosso graziata dalle matite di Romano Scarpa con chine di Rodolfo Cimino. Io l’ho trovata sul classico Mondadori “Paperone 68” anche se l'esordio stampato fu su Topolino n.357 del 1962 . Il Clavicembalo è stata ripubblicata da poco nell’omnia di Scarpa.  Il fetentissimo Lord Money (tipo che riapparirà nella storia Zio Paperone e il Bukara bucato), ricco inglesucolo pieno di spocchia, fa visita ai possedimenti dello yankee Paperone che gli mostra i suoi “pochi” averi. Nulla pare turbare il suddito della regina, ma appena nota una vecchia macchina da scrivere rotta che Paperone non usa più, si prodiga di sostituirgliela con una fiammante “elettrica” ultimo modello. Allo zione non sembra vero e accetta subito. Peccato che il rottame sia un rarissimo “clavicembalo scrivano” da 50.000 dollari e Paperone rischia di diventare lo zimbello di tutti gli affaristi per l’imbroglio subito. Su imbeccata di Paperino si parte all’acquisto di tutti i clavicembali del globo per dimostrare che Paperone ha donato la macchina a Lord Money perché uno dei tanti “doppioni” in suo possesso.  La parte più bella è quella che vede Paperino nella germanica Pistswizz, dove il sindaco per portare a termine lo scambio di macchine con il pennuto, prima si fa acquistare il modello più costoso di macchina da scrivere automatica sul mercato, poi fa allacciare la corrente elettrica del comune a spese di Paolino e infine vuole mille dollari in cambio del clavicembalo, non contento insegue Paperino per vendergli anche una scassatissima radio. Zio Paperone, invece, a Buena Noche, paese dell’America Latina ha a che fare con un peone che aumenta i prezzi a ogni battuta…sarà pagato dal vecchio tirchione ma verrà anche pestato a sangue dallo stesso.


Paperone 68 (uscito però nel 1967)
Alla fine dopo che l’ultimo clavicembalo sarà dibattuto all’asta tra i due paperi, ignari di essere un unico concorrente, si scopre che le macchine ormai, vista l’inflazione di modelli recuperati, non valgono più nulla e la storia finisce con Paperino venditore porta a porta che tenta di venderli come pezzi d’arredamento di classe. Che vi devo dire, ritorno alla solita diatriba del vecchio contro il nuovo e sono sempre più convinto che i fasti di un tempo siano ormai irraggiungibili in casa Disney. Non è colpa dei disegnatori, abbiamo valanghe di artisti del pennino in fila pronti a schizzare capolavori grafici…ma quel che manca è la sagacia degli sceneggiatori.  La trama del “clavicembalo scrivano” potrebbe essere liquidata in due righe, ma è la capacità dei Barosso nel definire i personaggi e nel creare situazioni e battute deliziose a fare la differenza è trasformare un fumetto di routine (per quegli anni) in una piccola perla.  

Topolino 357


6 commenti:

  1. Infatti se vai a vedere la "storia" di Topolino (libretto) su Wikipedia, a un certo punto hanno dovuto far scrivere le storie ai disegnatori per carenza di autori, visto che si riduceva anno dopo anno la pubblicazione di storie non italiane. Perché poi? Per inserirle nel Mega Almanacco?

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  2. Ricordo quella storia! La lessi in quel volume di mio padre.

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  3. "Quel che manca è la sagacia degli sceneggiatori". Salvatore, a me pare che sia anche una questione di impostazione editoriale sul linguaggio, che da un certo punto si è voluto rendere più "semplice". Mi spiego: negli anni 60-70 il linguaggio usato in Topolino era molto più "complesso" e costringeva il bimbo a un approfondimento. Vado a memoria: "Paperino e la Triscaidecafobia"; "Paperino e i flabelli del Maestoso"; "Paperino e le gambiere di Jack Zuccherino" con il famoso scambio di epiteti fra il Papero e il suo avversario ("Amadriade cinocefala! Pidocchietto delle sabbie!") per non parlare delle storie in linguaggio "medievale" stile Brancaleone. Io cominciai a notare una decisa semplificazione del linguaggio (e della complessità delle storie) negli anni 80, ma avendo smesso di leggere continuativamente il topo più o meno nello stesso periodo, potrei sbagliarmi.

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    1. Ci si è adattati al Pueblo incolto? Ahimè pare di si.

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    2. Forse il "pueblo" era mediamente più "incolto" quando Martina scriveva l'Inferno del topo ma quella storia poteva stimolarlo ad "elevarsi". Almeno, per me era così. Semplificare, o meglio banalizzare il linguaggio vuol dire creare il lettore incolto.
      Adios.

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