Forse
la prima cosa che balza all’occhio sul titolo di questa recensione è la
mancanza di “eccellenza” nel voto. Poi ci arriviamo. Dino Battaglia, insieme al
cugino di tratto Toppi, è uno dei più grandi fumettari italici. L’errore comune
è considerare Battaglia uno che non veniva dalla serialità, ma lui come tutti
quelli di quel periodo si era fatto le ossa su cose commerciali come il Vittorioso, robe per Bonelli e Fleetway, passando persino per Topo
Gigio. Per dire le sue sperimentazioni “sul grigio”, iniziarono addirittura su Piuma
Bianca. Dino sarebbe stato un altro degli “argentini” se non fosse stato
innamoratissimo della triestina Laura (divenuta in seguito sua moglie e
colorista) ed inventò scuse balorde pur di restare in patria e godersi
giustamente la consorte. Agli inizi della sua carriera Battaglia utilizzò un
tratto commerciale e di maniera, anche se di standard elevatissimo e degno (se non
superiore) a molta roba americana del periodo. Per farvi un idea c’è in giro un
volumone Dardo di Robin Hood che
raccoglie alcune delle sue vecchie storie che sono di una bellezza grafica
indescrivibile e che è venduto a pochissimi € in tutti i luoghi e tutti i laghi.
Inutile dilungarsi sull’artistico e
celebrato poi, quelle opere visionarie più volte ristampate nel costoso formato delle "Graphic Novel". E
dire che quei vari “liberi” e “riduzioni” erano pubblicati su economicissimi albi
tipo il Corriere dei ragazzi, quando per noi fortunati
vegliardi era normale aprire un giornaletto a caso e trovarci Pratt, Manara,
Magnus e tutti i meravigliosi geni che ancora sono celebrati in barba alle
varie rockstar di china che ammorbano le edicole.