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21/08/17

Eroi del Monello nel 1961 (di Luca Lorenzon)


Quale occasione migliore del ritorno di Retronika, mio capro espiatorio per gli acquisti vintage, per cedere e comprare un altro po’ di vecchiume? Stavolta è toccato a un paio di numeri de Il Monello che avevo già adocchiato qualche tempo fa.
Mi sembra che questi numeri, usciti nel 1961, rappresentino un po’ un momento di transizione nell’industria fumettistica e anche nella società italiana, non più costretta nei limiti del dopoguerra ma non ancora immersa nel Boom. Questa almeno è la mia impressione. Persiste una certa tendenza moralista (che d’altra parte era la cifra stilistica dei fumetti della Universo), ma pur tra ingenuità e una certa discontinuità qualitativa ci sono esempi di grande professionalità; i personaggi sono una rimasticatura di cliché abusati ma ogni tanto c’è qualche guizzo di fantasia. Totalmente fuori tempo massimo l’uso delle didascalie in rima sotto le vignette vere e proprie, anche perché non sono obiettivamente scritte molto bene, risultando un po’ farraginose e rallentando la lettura (non aiuta poi il fatto che siano riferite alle vignette prese in coppia e non alla singola). Per fortuna solo pochi dei fumetti pubblicati presentano ancora questo artificio.
In appendice a ognuno dei due numeri viene presentata una breve storiella dedicata ai personaggi e alle trasmissioni televisive dell’epoca, ma sembra che gli autori non sapessero ancora bene come gestire queste derive multimediali, e graficamente si tratta delle parti meno nobili della rivista.
Sono rimasto stupito nel vedere che il formato non è il canonico 17x24 delle riviste popolari ma un ben più piccolo 12x18 o giù di lì, praticamente un tascabile. Ogni numero consta di 60 pagine (oltre alla copertina, chiaramente) che sono numerate da 3 a 62. Le riviste ovviamente sono spillate. Si tratta di proposte “tutto fumetto” in cui i redazionali sono ridotti al minimo e anche la pubblicità è quasi assente. I colori non sempre sono disprezzabili, ma la qualità di stampa in alcune pagine è visibilmente carente, a testimonianza dell’uso che si faceva all’epoca (e fino a non moltissimo tempo fa) della stampa col metodo rotocalco, d’altra parte quasi obbligata per le tirature stratosferiche che avevano queste riviste all’epoca.
Ma vediamole nel dettaglio:

26/05/17

Il Grande Blek 11 - L'antro dell'impossibile


Il Grande Blek è un personaggio che non mi ha mai catturato, ma gli albetti di Sciuscià e Il Piccolo Sceriffo che ho rinvenuto dal mio rigattiere di fiducia erano prossimi all’implosione e quindi alla fine ho deciso di prendere questo, che oltre alla copertina staccata e a segni di umidità presenta solo una firma con cui uno dei precedenti proprietari ha siglato la prima striscia. In effetti leggendo queste 32 strisce posso capire perché Blek Macigno avesse tanto successo e sia ancora ricordato e ristampato.
Senza uno straccio di riassunto, entriamo subito nel cuore dell’azione: il professor Occultis e Roddy, le “spalle” di Blek, sono «prigionieri di un essere irreale che comanda ad una ciurma invisibile in una grotta ancor più irreale di lui», per usare le parole del professore.

28/04/17

Recensione tripla Kolosso, Sciuscià e Nat Del Santacruz


Avrei preso volentieri Sciuscià contro l’Uomo Lupo (diamine, con un titolo del genere!) ma il rigattiere dove mi rifornisco occasionalmente di vecchi giornaletti ne aveva solo una copia in condizioni prossime all’implosione, quindi ho preferito ripiegare su altre due antichità.

19/01/17

Il Dominatore della Malesia di Luigi Motta e Nadir Quinto (1949)


Interessante recupero vintage, Il Dominatore della Malesia narra la vicenda di D’Arris, ultimo malese sopravvissuto a un complotto ordito dai colonialisti che gli hanno sterminato tutta la famiglia ad eccezione del figlio che è stato allevato come un inglese.
Durante l’insediamento del nuovo Rajah di Sagàr, un fachiro narra la sua storia ormai diventata leggendaria e D’Arris si decide a riprendere le armi contro l’invasore. Assalta quindi la nave dove si trovano il figlio perduto, ribattezzato James, e la sua fidanzata e da lì comincia una serie di scorrerie da cui è lecito evincere che Luigi Motta andasse a braccio e si inventasse gli sviluppi di pagina in pagina, visto che si affastellano uno dietro l’altro colpi di scena, personaggi nuovi sbucati dal nulla per risolvere le situazioni e i luoghi comuni che rendono memorabili le storie d’avventura (ci sono persino i proverbiali thug e una conturbante dark lady).

01/08/16

Nonna Abelarda mena su "Il Morto"



Il buon Luca Lorenzon ha trovato sul numero 24 de "Il Morto" l'ospite inaspettata. La vegliarda fulmicotonica a quanto pare non è morta ma secondo le Edizioni Menhir è soltanto andata in pensione...

26/03/15

Gli "errata corrige" da aggiungere a "Da Braccio Di Ferro a Provolino"


Premessa: Quando iniziai a scrivere il libro mi era stato dato per contratto un anno per la stesura, per essere presenti alla Fiera della Microeditoria di Chiari ho dovuto accelerare i tempi di un paio di mesi e quindi qualche castroneria è venuta fuori. Chi scrive un libro, dopo averlo riletto centinaia di volte, inizia a saltare gli errori perchè il cervello va in pappa, quelli che ci sono nel mio vi garantisco che nascono per distrazione e non per mancata conoscenza dell'argomento o dell'autore. La passione come sapete c'è e sempre ci sarà. Pigliatevi sto post, stampatelo e aggiungetelo al libro, voi tanti carissimi che lo avete acquistato superando ogni mia più rosea aspettativa.  I numeri non li conosco, ma dai feedback su social e blog mi pare che parecchi abbiano fatto questo tuffo nel passato.
Iniziamo con il primo errore che aveva beccato Luca Lorenzon, ho affibiato a Pierino di Motta una mastoplastica piuttosto che una rinoplastica, povero ciccino, l'ho trasformato nella Maurizia Paradiso dei fumetti Bianconi. Quello che più ha spulciato il libro è stato Mr. Anacanapana, alias G. Moeri che su Vintage Comics mi ha fatto (bravo!) pelo e contropelo. Ecco tutte le robe trovate dal Moeri.

23/11/14

Che cosa sono le nuvole senza i fumetti Bianconi? Luca Lorenzon Greatest Hits



La recensione di "Da Braccio Di Ferro a Provolino" del caro Luca Lorenzon, uno dei primi lettori retronici e curatore del miglior Blog italiano sulle Historietas "macanude".
Luca mi fa pelo e contropelo con grazia e vado a rispondere di la:
http://lucalorenzon.blogspot.it/2014/11/da-braccio-di-ferro-provolino-il.html
Visto che ci sono vi porgo tutte le recensioni "retronike" che il Lorenzon ci ha regalato negli anni.



12/11/13

Alan Ford n° 146 "Rebus" – testi di Max Bunker, disegni di Paolo Piffarerio e Francesco Costanzo - agosto 1981 - 600 lire ***



Una nuova recensione di Luca Lorenzon

Il fragile poliziotto Luke Mekmez, afflitto da un cronico raffreddore nervoso, desidera passare da semplice agente del traffico a detective della squadra investigativa ma l’ennesimo esame per diventarlo fallisce miseramente: i suoi nervi cedono del tutto e lui decide di diventare un criminale mascherato!

27/08/13

Vince Abelardona! (nel frattempo Lorenzo Terranova mi ha inviato un scontro di Braccio con una vecchia Bancarotta style di Pierluigi Sangalli)


Riciclo questa meraviglia di Alberico Motta  per annunciare che la vecchia sganassona ha battuto Popeye per 34 voti contro 15. Nonostante il post sia stato visto 586 volte ad oggi soltanto 49 sono stati i voti utili.
Stasera comunico a Sandro Dossi la scelta del popolo e spero che trovi un pò di tempo per disegnare la tavola promessa. Nel frattempo Lorenzo Terranova ha scovato su un vecchio numero del marinaio guercio  una storia con un clone  della Nonnina in salsa sangalliana.
Buona lettura!

“La freccia di Cupido” su Braccio di Ferro n. 529 – 9 Giugno 1989 – Disegni di Pierluigi Sangalli (****)


Incredibile! Lo “Scontro del Secolo” tra Braccio di Ferro e Abelarda è già avvenuto, o quasi, nel 1989, e senza un esito finale… ma fino a dove si arriva,Braccio le busca dalla vecchiarda!
Il “quasi” deriva dal fatto che in realtà non si tratta proprio di Abelarda, ma di una sorta di “clone”… ma andiamo con ordine:

16/07/13

And the Winner Is: Luca Lorenzon!

Con un giorno d'anticipo chiudo il concorsetto visto che l'immarcescibile profiler del fumetto
LUCA LORENZON ha sconfitto le domande del duecentomillesimo.

Visto che ci sono vi straconsiglio il Blog del vincitore che leggo sempre ed è pieno di chicche.
Un bravo al fratellone di Retronika.


07/03/13

Le avventure di Popeye, volumetto promozionale allegato probabilmente a un sacchetto di patatine San Carlo (1996 circa)-recensione di Luca Lorenzon


 


Curioso ritrovamento: un albetto formato mignon (6,5x9 cm) di 48 pagine tuttofumetto che comprende due storie di Braccio di Ferro. Si tratta di un Braccio di Ferro moderno, alle prese con situazioni più attuali e oggetto di un restyling nell’abbigliamento e nella resa grafica. Notevole il Timoteo in versione coatta con cappellino e coda di cavallo, anticipatore di Uomini e Donne di Maria De Filippi.
Sicuramente le storie di Braccio di Ferro provengono da altre fonti, e sembrano inserirsi nel discorso qualitativo ricordato da Sauro Pennacchioli (http://retronika.blogspot.it/2013/02/made-in-japan-bracciozinga-contro.html). Oltre al rimodernamento del personaggio si vede chiaramente l’impegno nel realizzare dei disegni molto curati e dettagliati. La sigla “588” che campeggia nelle tavole non è molto utile visto che non identifica la singola storia ma le riguarda tutte e due (forse è un’indicazione del giornalino originario dove comparvero?).
Dalla pubblicità in quarta di copertina evinco che si trattava di un omaggio dato con le patatine San Carlo della linea “Junior”, facente parte di una serie di volumetti a fumetti che comprendeva anche altri personaggi riprodotti su licenza: Mandrake (di cui ho un albetto), L’Uomo Mascherato (filologicamente chiamato The Phantom) e Leo O’Pard. Di quest’ultimo, da riscontri sull’Encicolpedia del Fumetto della DeAgostini (dove veniva pubblicizzato), da alcuni siti internet e da vaghi ricordi, posso dire che era un personaggio ideato nei primissimi anni ’90 per inserirsi nel mercato degli animali antropomorfi con un giornalino a fumetti ma soprattutto con prodotti di merchandising. Evidentemente non riscosse il successo sperato.
Difficile stabilire con precisione l’anno di realizzazione delle storie (quella di Mandrake di Lee Falk aveva almeno l’indicazione del copyright del syndicate), così come non ho individuato gli autori. Nel volumetto compare comunque un’indicazione del copyright riferita a una «Agenzia Premium» di Milano per il 1996 quindi possiamo immaginare almeno l’anno di uscita del volumetto.
Ignoro se esista un collezionismo per questa serie di prodotti, sono solo incappato nel solito buontempone che su e-bay ha proposto il volumetto di The Phantom a un prezzo assurdo sottolineandone una rarità tutta da dimostrare.




Le storie:

Muscoli e cervello (28 pagine): Braccio di Ferro porta Olivia nel campeggio del suo amico Osvaldo. Inizialmente la coppia battibecca su cosa sia più importante, la forza o l’intelligenza, poi la storia ha una virata mystery quando Osvaldo dice a Braccio di Ferro di non trovare più la chiave della cassaforte (e il portavalori passerà proprio il giorno successivo a ritirare i soldi).



La notte porta consiglio e Braccio di Ferro fa un sogno rivelatore con cui capisce che in realtà si tratta di un furto perpetrato da Timoteo. All’interno della sequenza onirica, in cui i battibecchi della coppia vengono trasportati nel medioevo, Olivia è protagonista di una gag molto divertente con i coccodrilli in un fossato a guardia del castello.




La notte stessa Timoteo viene punito a sorpresa per la sua malefatta. Lodevole come lo sceneggiatore abbia posto per bocca di Olivia una domanda che il lettore attento si sarà fatto in merito a un apparente “buco” nella sceneggiatura: se la cassaforte era chiusa come poteva Braccio di Ferro entrarci per sorprendere Timoteo? Questo dialogo offre anche il destro per la gag finale. (verrebbe però da chiedersi perchè Braccio di Ferro non abbia aiutato l’amico sin da subito visto che poteva accedere comunque alla cassaforte, ma così la storia sarebbe finita prima ancora di cominciare, quindi preferisco pensare che abbia temporeggiato per risolvere il caso e punire Timoteo).


Pierluigi Sangalli


Anche grazie alla sua lunghezza Muscoli e cervello è una storia articolata e ben condotta, con più di una gag azzeccata. Visto che è stilisticamente omogenea col resto, credo che la sequenza onirica faccia parte della storia stessa e non sia stata recuperata da altre fonti.
Decisamente buoni i disegni: dettagliati, splendidamente inchiostrati e anche molto espressivi (Aggiunge Salvatore Giordano Pierlugi Sangalli ). ****

Immagini virtuali (20 pagine): la cittadina di Spinacia è invasa da un esercito di indiani, vichinghi, trogloditi, dinosauri e altri mostri assortiti. I cittadini fuggono in preda al panico, ma Braccio di Ferro vuole vederci chiaro.
Come annunciato sin dal titolo (autogol!) si scopre che si tratta di un piano di Timoteo e di sua madre la strega Bacheca, che con l’ausilio di un computer stanno sguinzagliando delle proiezioni intangibili per la città provocando il panico e il conseguente esodo, dopo il quale potranno darsi al saccheggio delle abitazioni abbandonate.
Grazie all’intervento energico di Braccio di Ferro i due malfattori vengono imprigionati nel computer stesso.
Immagini virtuali si segnala per dei disegni ancora più belli di quelli della storia precedente. Non solo la perizia profusa per ombre e dettagli è notevole, ma il disegnatore (uno studio?) (Aggiunge Salvatore  Giordano...Sandro Dossi da solo con le sue magiche manine) ...quale  ha saputo destreggiarsi egregiamente con soggetti molto diversi tra loro, ha curato gli sfondi e le architetture ed ha anche un tratto molto espressivo: vedi il Braccio di Ferro sconsolato che cammina letteralmente piegato in due. Forse si sarebbe potuto fare qualcosa per il look della strega Bacheca, qui in veste di geek tecnologica. Ma mi rendo conto che era difficile rifarle il look senza snaturarla.
Per quel che riguarda la sceneggiatura, mi sembra che a una introduzione molto lunga e suggestiva abbia fatto seguito una conclusione piuttosto frettolosa. Niente di grave, comunque, e la storia funziona benissimo anche così: simpatico poi l’inedito sadismo finale di Braccio di Ferro. ****

Sandro Dossi


21/02/13

Numero sconosciuto (privo di copertina) di Cucciolo, 80 pagine numerate da 3 a 82 (attendiamo aiuti) recensione di Luca Lorenzon


Salvatore Giordano prova ad aggiungere almeno i disegnatori

1) Giorgio Rebuffi
2) Giorgio Rebuffi
3) Onofrio Bramante (Brahms)
4) Alberico Motta in overdose di Jacovitti
5)Giorgio Rebuffi


Agnelloski pasqualeff (16 tavole): le tribolazioni di Cucciolo e Beppe (cui si aggiunge Bombarda) per procurarsi un agnello da cucinare per Pasqua. Il titolo è giustificato dal fatto che il lupo Pugacioff ha un ruolo di rilievo. Storia canonica ma piacevole, con una simpatica gag finale. ***


 

Il Confusionifero (12 tavole): un capolavoro http://lucalorenzon.blogspot.it/2011/02/fumettisti-dinvenzione-5.html*****

 

Robin Het e l’allegra brigata della foresta – avventura in canoa (16 tavole): Robin Het e i suoi compagni Tremarel e Mac Kefif vanno a caccia nelle foreste di quella che sembra essere la regione dei Grandi Laghi (nonostante il titolo lasciasse intendere che fosse una parodia di Robin Hood) ma il grasso Tremarel si attarda per prendere una preda e viene catturato dagli indiani che introduce ai piaceri dell’alcol. Dopo una rocambolesca fuga si ricongiunge agli amici in canoa, tanto per giustificare il titolo.
Non ho gradito l’inserimento di una storia più avventurosa e leggermente più realistica in un contesto prettamente umoristico come quello di quest’albo, e la trama di questo fumetto non mi sembra particolarmente originale, ma i disegni denotano una certa cura e non vorrei farmi infuenzare dai pregiudizi.
Tre stelle e non ne parliamo più, Salvatore. ***

 


Il ratto delle Sabine (12 tavole): per quanto messa in ombra da Il Confusionifero, anche questa splendida storia si segnala per i diversi piani narrativi in cui si muove e per molti divertenti e riuscitissimi giochi metanarrativi.
Come annunciato da una didascalia (sicuramente vestigia di una precedente edizione, visto che dei fatti riassunti non c’è traccia in questo numero) Cucciolo e Beppe proseguono la loro carriera di reporter e decidono di fare un servizio su un’opera teatrale che Bombarda metterà in scena: Il ratto delle Sabine. A causa di una indigestione di fagioli i due attori protagonisti non possono recitare, così Cucciolo e Beppe salvano la situazione e si offrono di sostituirli.
La storia alterna le vicende recitate con le reazioni scomposte del pubblico, e si caratterizza per splash pages e “panoramiche” degne di Jacovitti, autore a cui alcune anatomie sono palesemente ispirate. Notevole per una pubblicazione del genere, fatta di corsa e al risparmio, l’horror vacui che pervade le tavole, caratterizzate da un sovraffollamento di facce e dettagli (ai lettori un premio di un chilo di fagioli se riusciranno a trovare il personaggio storico tra la folla!).
Questo particolare tipo di narrazione permette di condensare un sacco di informazioni in poche pagine, e in effetti la rappresentazione della commedia dura solo 4 tavole pur presentando molte situazioni e sottotrame.
Al di là degli inserti surreali (a tavola 4 un figuro irrompe nella pagina per raccontare una barzelletta) la dirompente vis comica della storia si manifesta al meglio in tre occasioni: la rivelazione della vera vita coniugale dei romani dopo il ratto delle mostruose mogli, la genialità di Bombarda che pensa a quanto guadagnerà con tutti gli ortaggi che il pubblico imbufalito gli lancia e l’inedita paraculaggine dei due protagonisti che rimessi i panni di reporter scrivono una cronaca assai addomesticata dello spettacolo.
Una storia da recuperare. *****

 




La guardia del corpo (16 tavole): il cagnolino giapponese Gigorocane cerca impiego come guardia del corpo ma non viene preso sul serio a causa delle sue dimensioni mignon. Dopo essere riuscito a suonarle nientemeno che a Pugacioff viene indirizzato verso Bombarda che sarebbe ben lieto di avere qualcuno che lo difendesse dalle attenzioni del lupastro: Gigorocane dà dimostrazione delle sue incredibili abilità marziali e Bombarda lo assume.
Il povero Pugacioff viene ripetutamente sconfitto e nemmeno lo iettatore Giona la spunta su Gigorocane. Finché incontra il gatto Bernabò (da quello che ho capito, titolare col topo Achille di un’altra serie) che con l’inganno gli affida la pianta carnivora Pitagora. Proprio questo strambo vegetale che fuma la pipa, già intravisto in Agnelloski pasqualeff, si rivela essere il rimedio contro Gigorocane.
È probabile che La guardia del corpo facesse parte di un corpus di storie collegate fra di loro, o che sia il frutto di un rimontaggio, visto che Pugacioff fa riferimento a una scena che non è presente in questa versione. ****

 


20/12/12

Albo Gigante Rio Indio n° 2 – Aprile 1973, Ediz. Casati, 224 pagine in formato quaderno, 350 lire-recensione di Luca Lorenzon





Volumetto regalatomi da un ex collega cinquantenne che doveva disfarsene. Nonostante le abitudini di lettura dei ragazzini dell’epoca che mi ha descritto, che prevedevano di spalancare i “giornalini” mangiandoci sopra la merenda, è in condizioni passabili.
Si tratta di un ricopertinato, ovvero di una raccolta di altri fumetti spacciata per inedito. Lo si capisce dal fatto che le due metà dell’albo hanno due numerazioni indipendenti: dopo pagina 114 si ricomincia con pagina 3. Curiosamente il sommario in seconda di copertina riporta solo le prime tre storie, nonostante la copertina sia stata ovviamente creata ad hoc.
Tutti e sei i fumetti contenuti soffrono degli stessi problemi: la qualità di stampa non è ottimale e sembra che le pellicole, come si diceva in gergo, fossero “bruciate”: alcuni tratti più sottili spariscono mentre altri risultano ingrossati e impastati. Anche la cura editoriale a volte zoppica e oltre a qualche raro errore grammaticale si notano soprattutto certi dialoghi poco chiari o resi in maniera involuta e poco chiara. Il materiale è sicuramente di produzione spagnola, almeno la maggior parte di esso, e visto il rigore dell’impostazione (2 storie da 46 tavole più 1 da 20 in ognuna delle due parti originali) immagino che si tratti di un prodotto concepito così sin dall’origine e non del rimaneggiamento di altri formati.
Com’era consuetudine dell’epoca, in seconda e terza di copertina sono presenti alcune vignette.
Da notare che il direttore responsabile è Erasmo Buzzacchi, il vice di Max Bunker su Kriminal e Satanik.
I fumetti sono:

Cercasi sceriffo: testi di Lagresa, disegni di Lopez. Quest’ultimo è decisamente valido, un disegnatore dal tratto classico e rigoroso che sa far recitare i personaggi (splendide le sue mani) e che usa molto bene il chiaroscuro, tanto che alcuni primi piani ricordano la tecnica del grande Domingo Mandrafina. Probabilmente questo Lopez è Rafael Lopez Espi (la doppia firma che campeggia in alcune vignette non è del tutto leggibile per i problemi di stampa che ho citato sopra), un disegnatore spagnolo di cui sopravvive ancora un certo, meritatissimo, culto[http://www.lopezespi.com/].
In Cercasi sceriffo Rio Indio torna alla natia cittadina di Diamond dove il suo oscuro passato, narrato forse nel numero 1 dell’Albo Gigante, è fonte di preoccupazione e ostilità da parte dei locali. In particolare il barbiere, il fabbro e un contadino sembrano avercela a morte con lui. La storia si legge con piacere visto che si basa anche sulla risoluzione di un mistero, e per essere un western è molto originale. Non c’è nemmeno un colpo di pistola! Il colpo di scena finale è ben orchestrato anche se il lettore non poteva prevederlo visto che non gli viene dato alcun indizio, mentre il ribaltamento di prospettiva della conclusione la si intuiva già dal titolo.


Sceriffo: testi di , disegni di Lopez. Rio Indio viene convocato da un vecchio ranchero che gli aveva fatto da padre ma scopre che le cose sono cambiate e che un malvivente che lavora per lui cerca di imporsi con la violenza nel territorio, minacciando di rivelare un segreto dell’uomo ed avendone in pratica già vessato il figlio. Stavolta il protagonista (che pure si becca una fucilata in spalla) si concede ben due revolverate, ma solo quella dell’ultima pagina uccide il suo cattivissimo bersaglio nel climax dell’epilogo.
Pare che questa sia l’ultima avventura di Rio Indio, deciso ad accasarsi e cambiare vita.




“Miseria” Bert: testi di F. Sesen, disegni di J. Puerto. Il giovane e poco sveglio “Miseria” Bert insegue un imbonitore ciarlatano per avere altre scorte della sua panacea, che pare averlo guarito del mal di denti. Scoprirà il suo segreto svelando il mistero delle recenti rapine che hanno funestato la zona. La storia è molto simpatica e piuttosto originale, i disegni si mantengono su un buon livello pur non potendo competere con quelli di Lopez.



Schiavo del passato: testi e disegni non attribuiti. Western nettamente più classico, anzi decisamente banalotto e anche poco credibile. Il redivivo Rio Indio, qui assistente dello sceriffo, partecipa a una rapina per un “debito di riconoscenza” (!), viene pizzicato, sconta la pena e facendo il giustiziere in un paesino ne diventa lo sceriffo. Il suo passato gli farà visita in un parossistico finale.
Ignoro se questa storia vada posta cronologicamente prima di Cercasi sceriffo o dopo Sceriffo: quasi sicuramente si tratta di materiale di tutt’altra origine che è stato adattato per giustificarne l’inserimento in una collana dedicata a un personaggio con quel nome specifico. Anzi, mi viene il sospetto che anche le prime due storie fossero in origine indipendenti e poi artatamente collegate. Comunque l’editore italiano ha fatto un buon lavoro visto che Schiavo del passato può inserirsi perfettamente nella continuity del personaggio e la rapina iniziale potrebbe essere quella per cui Rio è odiato e temuto a Diamond.
I disegni sono palesemente debitori di Arturo Del Castillo, e i paesaggi aperti e sconfinati sono stati sicuramente ricalcati dalle tavole del Maestro cileno. Nel 1973 Del Castillo non era ancora così popolare come lo sarebbe diventato dopo il suo passaggio su Lanciostory: all’epoca in Italia era apparso fugacemente solo su Sgt. Kirk e Il Corriere dei Piccoli. Chissà a quali fonti avrà attinto l’anonimo disegnatore, che in alcuni punti sembra ricordare più Miguel Angel Repetto che Del Castillo.

paesaggio copiato
paesaggio copiato 2
 Doppio taglio: testi e disegni non attribuiti (i disegni sono di Lopez Espi, di cui si vede ogni tanto la firma). Gli indiani Seminole sono in fermento e a causa delle armi a ripetizione che vengono loro vendute cominciano a rappresentare un grosso pericolo per la Florida. L’intervento dell’esercito dovrebbe contenere la situazione ma a risolverla sarà la presa di coscienza del figlio del venditore di armi (prontamente ucciso dalla Provvidenza) in una vicenda pervasa da un certo moralismo. La timida presenza di una storia d’amore e l’acre contrapposizione tra il rude ma esperto trapper e i soldati vanagloriosi freschi di accademia militare rappresentano gli elementi più interessanti del fumetto.



Venuto dall’Est!: testi e disegni non attribuiti. Un indiano Kiowa torna nella sua tribù dopo un periodo di permanenza nell’Est. Alcuni altri nativi lo sbeffeggiano per i suoi modi civilizzati da bianco e la situazione precipita presto fino a sfiorare una guerra!
I disegni si segnalano per essere di gran lunga i peggiore di tutto l’albo. In particolare, le anatomie sono molto rozze e legnose.


anatomie assurde

08/12/12

La Maschera della Morte (terzo episodio della serie L’Agente Segreto B-13) Albo di “Grandi Avventure” anno II n. 8, 1 Agosto 1946, edito da S.A.G.A. (via Dorotea 6, Roma), costo 15 lire-recensione di Luca Lorenzon




Gli statunitensi hanno il Secret Agent X-9 di Alex Raymond, noi italiani potevamo sfoggiare L’Agente Segreto B-13.



L’albo è in formato orizzontale, le dimensioni sono assimilabili all’odierno 17x24, ovviamente ruotato di 90 gradi. La foliazione comprende 16 pagine in bianco e nero interamente occupate dalla storia a fumetti più copertina e retro. La copertina è in quadricromia (e presenta un fuori registro), la quarta solo in tricromia mentre seconda e terza di copertina sono in bianco e nero. La storia precedente viene riassunta in seconda di copertina e pare alquanto complessa (vedi allegato 1), in seconda di copertina troviamo anche un annuncio ai lettori in merito ad un concorso che metteva in palio 500 lire dell’epoca: rassegnati al fatto che i ragazzi che hanno partecipato si sono limitati a copiare storie famose i redattori non hanno premiato nessuno e hanno consigliato ai partecipanti di proporre qualche fatto strano realmente capitato nella loro vita, in cerca di un minimo di originalità! La Maschera della Morte inizia ex abrupto con la visita del malvagio giapponese Ho Kusai (non desta tanto stupore il fatto che il nome è quasi lo stesso del celeberrimo artista quanto che nel riassunto veniva chiamato «Hokusoi») al pittore Giuliano per constringerlo a partecipare al suo piano: una volta introdotto nel penitenziario della Caienna [sic] dovrà impossessarsi di informazioni segrete e pericolosissime da un detenuto.



La storia procede quindi nel solco della tradizione esotico-avventurosa del fumetto dell’epoca, o meglio dell’epoca precedente di cui si cercavano di rinverdire i fasti. L’assunto è piuttosto inverosimile (un pittore che diventa agente di sorveglianza di un penitenziario sito in terra straniera?!) e anche il resto della storia è costellato dalle proverbiali ingenuità del periodo, prima fra tutte la rappresentazione stereotipata dei giapponesi come perfidi infingardi occasionalmente esperti di una non meglio precisata «lotta giapponese», oltre che fieri portatori di una dentatura spaventosa.

 

La storia procede in maniera lineare senza colpi di scena fino alla conclusione (che potrebbe essere la conclusione della intera serie) e forse anche a causa dello scarso spazio a disposizione la fortuna sembra favorire gli eroi laddove certe situazioni avrebbero richiesto qualche vignetta in più per arrivare allo stesso nodo della trama in maniera più credibile e meno meccanica (guarda caso, l’unica stanza libera in albergo è proprio quella vicina a chi deve essere spiato... la fermezza di Giuliano nell’impedire alla fidanzata di accompagnarlo si scioglie nell’arco di una vignetta...). Sempre a causa della breve durata dell’albetto, si fa un ampio uso delle didascalie per condensare con poche parole quello che non si aveva lo spazio per disegnare. Va però riconosciuta all’autore una prosa felice ed evocativa, che rende la lettura piacevole: «La vita dei forzati trascorre accompagnata da tre spaventose figure di arpie: la disperazione, la fatica e la noia». Occasionalmente nei dialoghi fa inoltre capolino qualche guizzo di ironia molto azzeccato: ad Ho Kusai che gli ha lanciato un coltello Giuliano risponde «I vostri biglietti da visita sono di acciaio temperato, a quel che sembra...».



Niente male il finale: nulla di particolarmente originale o interessante, ma la storia viene portata a compimento e anche il titolo ad effetto La Maschera della Morte viene giustificato (cosa per niente scontata nemmeno oggi!). Di sicuro l’Agente Segreto B-13 merita il suo appellativo: viene solo nominato nella seconda vignetta e non si vede per tutto l’albo! Curiosamente la cura editoriale lascia a desiderare e sono presenti errori grammaticali come «accuminato» e «quì», oltre a frequenti casi di parole mandate a capo in modo sbagliato. Sono inoltre evidenti i lavori di biacca per coprire qualche errore ortografico. Nella terza vignetta della prima pagina, poi, una “nuvoletta” è stata scambiata per una didascalia.

  

Questo è un errore che occasionalmente tornerà ancora nel corso della storia ma viene solitamente corretto con l’aggiunta di un filatterio che collega la “didascalia” al parlante; ci si accorge di questi interventi, oltre che per la posizione dei testi, anche perchè secondo il gusto dell’autore (o dell’editore) le didascalie vengono contenute in spazi geometrici regolari mentre i dialoghi in spazi frastagliati. Dal punto di vista dei disegni siamo a un livello inferiore rispetto ai testi. Vittorio Cossio (autore anche dei testi?) disegna delle masse ingombranti non sempre molto fedeli all’anatomia umana. Le scene d’azione sono statiche e i primi piani decisamente brutti, anche quando non devono rappresentare dei personaggi programmaticamente brutti (cioè i perfidi giapponesi). La sua vera “bestia nera” sono però i profili, in particolare le donne ne escono massacrate. Nell’uso modulato del pennello, per dare corpo alle figure o “colorare” le vignette, si può comunque ravvisare una parentela con lo stile di Galep.




La terza di copertina ospita la quarta puntata del «romanzo giallo» I Due Vagabondi ad opera di tal Giovanni Hierro. In fatto che inizi in media res mi ha dissuaso dalla lettura. In quarta di copertina vengono riassunti i titoli de Gli Albi di “Grandi Avventure” usciti e del prossimo in preparazione.



 Desta una certa perplessità il fatto che la collana offra «ogni dieci giorni un fascicolo»: allora La Maschera della Morte come fa ad essere appena l’ottavo del secondo anno se è datato agosto 1946? Dall’inizio dell’anno dovrebbero essere stati pubblicati già 20 o 21 numeri, 3 al mese fino a tutto luglio. Per completezza segnalo che la mia copia reca stampigliata in alto a destra la lettera “A” in inchiostro blu. Siccome copre parzialmente copertina e prezzo immagino sia stata aggiunta in seguito forse a indicare l’appartenenza ad un lotto o a un gruppo di resi (anche le altre copie che ho visto presentavano questa caratteristica). L’esemplare in mio possesso è conservato in condizioni tutto sommato buone, considerando la scarsa qualità della carta e il fatto che in tipografia venne spillato solo in alto e quindi era molto più suscettibile di rovinarsi sfaldandosi. Mi è stato regalato da un rigattiere che ne possiede più copie e che ormai è rassegnato al fatto che, nonostante Vittorio Cossio sia un nome legato al Friuli Venezia Giulia (ma meno noto del fratello Carlo, credo), sia invendibile pure dalle mie parti. Una supposizione un po’ maliziosa nata da alcune ricerche su internet: che la collana sia stata chiamata «gli albi di “Grandi Avventure”» per capitalizzare sul successo degli Albi di Grandi Avventure della Mondadori?

23/11/12

03/10/12

Il Re delle Tenebre – Albo d’oro n° 132, 20 novembre 1948-recensione di Luca Lorenzon




Nonostante il titolo e l’illustrazione di copertina Il Re delle Tenebre non è un fumetto horror o bellico ma un racconto di fantascienza che sconfina un po’ nello spionaggio e molto nell’esotismo. Non si tratta di una storia a se stante, ma di un tassello di una vicenda più articolata che è cominciata nel numero 75 degli Albi d’oro per poi proseguire sul 77 e sul 127. I protagonisti Niko e Daniele inseguono i due arcinemici Will Sparrow e Mark Park ma questi riescono a seminarli e a fuggire nel cuore di una Cina contaminata da suggestioni fantasy e da certe inevitabili (visto l’anno di realizzazione) semplificazioni propagandistiche. Trovato il tesoro di Marco Polo (!) i due malfattori hanno i fondi per completare le loro ricerche su un’arma fantascientifica.


Coerentemente con altre opere a fumetti di poco precedenti, come Virus il mago della foresta morta o Saturno contro la Terra, e anche come certo cinema hollywoodiano classico, il vero protagonista non è il “buono” ma il criminale e infatti facendo una rapida ricerca su internet ho scoperto che la serie è intitolata proprio a Will Sparrow[http://www.cartesio-episteme.net/gial/Albidoro.htm].


L’arma definitiva ideata dal bad doctor è un marchingegno che permette di creare le tenebre a piacimento (da qui il titolo), con cui l’aviazione e la marina orientali dovrebbero avere la meglio sulle forze americane. Chiaramente non andrà così e anche a causa di un intricato gioco di spie che coinvolge il Giappone alla fine i malfattori si troveranno divisi e costretti a collaborare sotto minaccia della vita con due schieramenti in lotta, fino al loro ricongiugimento finale.
Il fascino della storia risiede nell’ingenuo esotismo di cui è intrisa e nel ritmo incalzante con cui viene portata avanti. Anzi, in certe parti sembra che tra il progetto di una nuova invenzione diabolica e la sua realizzazione trascorra un battito di ciglia. I personaggi sono caratterizzati piuttosto bene (interessante come la coppia “cattiva” rispecchi quella “buona”: in entrambe c’è un tizio coi baffi) nonostante nessuno brilli particolarmente per originalità, tranne lo stesso Will Sparrow geniale inventore.


Dal punto di vista del disegno lo stile è un po’ scarno ma efficace, con un sapiente uso del chiaroscuro; negli sfondi si nota talvolta un certo senso di vuoto, compensato in altre (poche) vignette dalla cura con cui viene disegnata una giungla, una montagna in lontananza oppure i dettagli di una nave. I personaggi non sono particolarmente espressivi ma quanto basta per non renderli anodini. In molte occasioni è evidente come il disegnatore abbia fatto ricorso al tavolo luminoso (o a qualsiasi artificio analogo si usasse all’epoca) per riproporre alcuni volti e posture. Da notare come in più di una occasione il tratto o l’inchiostrazione forniscano ai personaggi maschili un accenno di seno, non arrivando per fortuna agli estremi di Rob Liefeld in quel famigerato disegno di Capitan America ma comunque ottenendo un certo effetto straniante.
Il fascicolo è in bianco e nero eccezion fatta per le pagine 16 e 17 (colori assolutamente superflui a mio parere) e a intervalli regolari viene presentata come un ossessivo mantra a piè di pagina la pubblicità del Diario degli Amici di Topolino.
In quarta di copertina viene ospitata la nona tavola/puntata de La Primula Rossa del Risorgimento di Cesare Zavattini (nientemeno!) e Pier Luigi De Vita, costretta su tre striscie invece che quattro per far posto alla pubblicità e assolutamente incomprensibile senza aver letto le puntate precedenti.



Il tutto a opera di tale Straelen, su cui non sono riuscito a reperire alcuna informazione. Da notare come questo fumetto venisse presentato come «romanzo», ed eravamo ancora nel 1948.
Il rigattiere di Trieste che mi ha venduto questo Albo d’oro mi ha assicurato che si tratta di una copia originale dell’epoca e non di una ristampa successiva. Pagato 10 euro contro i 20 a cui a suo dire lo vendeva solo qualche giorno prima. Fa fede l’abitudine barbara di scrivere a matita il costo direttamente sull’albo, qui quindi ulteriormente deturpato dal ripasso col prezzo ribassato.